L’universo come scenario della rivelazione
divina.
Le implicazioni spirituali della fisica quantistica
DOC-2623. QUITO-ADISTA. Se aveva ragione Tommaso d’Aquino ad affermare
che l’errore sulle cose del mondo può portare all’errore sulle cose di Dio,
un’adeguata comprensione della natura dell’universo si rivela essenziale
per giungere a una più corretta immagine divina. In questo risiede la
straordinaria importanza del libro Quantum Theology del religioso irlandese
Diarmuid O’Murchu (v. Adista Documenti n. 39/13), vera pietra miliare nel
cammino di riflessione teologica più aperto alle nuove acquisizioni scientifiche
(quel percorso in ascolto del nuovo racconto sacro trasmesso dalla scienza
a cui possono essere ricondotti a vario titolo, e con diversi gradi di
coinvolgimento, teologi come Thomas Berry, Leonardo Boff, Frei Betto,
Matthew Fox, Roger Haight, John Haught, Elizabeth Johnson, Sallie McFague,
José María Vigil, per citare solo alcuni dei nomi che hanno trovato
maggiormente spazio su Adista: tra i numerosissimi interventi ospitati
sulla materia, v. Adista Documenti nn. 26/09, 29/10, 30/12 e 5/13). Pubblicato
già nel 1997 e ristampato, in una nuova edizione rivista e aggiornata, nel
2004 (con il sottotitolo The Spiritual Implications of the New Physics), il
libro di O’Murchu è uscito ora anche in spagnolo (Teología cuántica.
Implicaciones espirituales de la nueva física), edito da Abya Yala, Quito,
nella collana Tiempo axial (http://tiempoaxial.org),
la quale, presentando l’opera, pone
l’accento su quello che appare come il principale merito dell’autore: quello
di aver mostrato come la fisica quantistica trasformi radicalmente la
visione dei nostri antenati, rompendo «le regole della logica tradizionale
incontrovertibile con cui abbiamo sempre funzionato e ancora funzioniamo» e
obbligandoci a riformulare tutte le nostre categorie, «che ora non hanno
più senso e non rispondono alle conoscenze attuali». Si tratta di una
rivoluzione scientifica che «comporta ed esige» il superamento dei vecchi
paradigmi e «la creazione di un racconto interamente nuovo», di cui la
fisica quantistica appare «il simbolo più emblematico»: una visione della
realtà «talmente attraente per la teologia che – secondo le parole di
Sallie McFague citate proprio in apertura del libro – saremmo ottusi se non
ne approfittassimo». La visione, spiega O’Murchu, di un universo in cui
il tutto è più grande della somma delle sue parti (e, «misteriosamente», il
tutto è contenuto in ogni parte), un universo vivo i cui elementi, anziché
stabili, isolati e indipendenti gli uni dagli altri come nel modello
meccanicistico newtoniano, sono tutti collegati e interrelazionati, di modo
che «non sono le specie individuali che evolvono, ma tutti i sistemi
viventi connessi in maniera interdipendente, nel seno di una totalità
coerente». Una realtà che non è più retta da una rigida relazione di causa
ed effetto, in cui tutto può essere quantificato, misurato e verificato
oggettivamente, ma che è sempre più grande della nostra capacità di
coglierla: «In un universo quantistico - scrive O’Murchu - nulla è
prevedibile, ed è aberrante l’idea che la vita sia in qualche modo
determinata».
È su questa visione che poggia la teologia quantistica di O’Murchu,
decisa a demolire ogni dualismo, «nella convinzione che la vita è
fondamentalmente una, che non c’è un fuori e un dentro», che l’energia
divina che rende possibili tutte le cose e le mantiene in essere è dentro e
non fuori dal cosmo, operando «come una vibrazione dal finale aperto»,
piena di sorprese e imprevedibile (come evidenzia la teologia processuale,
«nello stesso dispiegarsi dell’universo, Dio anche si dispiega. La
creatività di Dio si manifesta o si rivela primariamente nel processo della
creazione stessa»). E in contrasto con la teologia tradizionale, che, nel
tentativo di definire la natura divina, ha molte volte prodotto un’idea di
Dio spesso costruita «a immagine e somiglianza dell’essere umano», la
teologia quantistica rinuncia a confinare il potere divino entro categorie
religiose, ritenendo che «tutte le storie delle religioni particolari
appartengono a una storia più grande che include, ma allo stesso tempo
trascende, le tradizioni religiose di qualunque epoca storica o culturale».
Quanto a noi umani, non siamo, afferma il religioso irlandese, «i
padroni del mondo» e neppure «la specie definitiva», ma apparteniamo a un
processo più grande che ci supera, che si dispiega ininterrottamente e che
«può continuare ad esistere senza di noi». Poiché l’energia dell’amore, che
non conosce limiti, «genera sempre forme di vita superiori e più
complesse», «dal calvario dell’homo sapiens» emergerebbe con ogni
probabilità un essere umano nuovo, con doti intellettuali, psichiche e
spirituali più consone alla nuova era evolutiva: «Non sarebbe la prima
volta nella storia dell’universo – esclama O’ Murchu – che la morte desse luogo
alla resurrezione!».
In ogni caso, se la nostra tendenza a considerare il cosmo come un
oggetto da conquistare e controllare ci ha alienato «non solo dal cosmo, ma
anche da noi stessi come creature relazionali», allora «l’unica e più
urgente sfida del nostro tempo è abbandonare il nostro atteggiamento ostile
e arrogante nei confronti dell’universo e della Terra e imparare ad essere
amici della vita universale», e, in particolare, amici della Terra, non più
vista come una massa di materia inerte e morta, ma come un organismo
vivente, Gaia, un sistema che si auto-crea, si auto-regola e si
auto-rigenera: come «soggetti in relazione con altri soggetti», conclude
O’Murchu, siamo invitati, insieme a tutte le altre creature ad assolvere il
nostro compito co-creativo nel progetto divino per il mondo, nella certezza
che la vita sia «inevitabilmente destinata al trionfo ultimo del bene e non
alla catastrofe definitiva prevista dalla seconda legge della
termodinamica».
Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, alcuni stralci
tratti dal settimo e dall’ottavo capitolo (il libro di O’Murchu può essere
richiesto a: ventas@abyayala.org, oppure acquistato in internet sul sito www.abyayala.org).
(claudia fanti)
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